mercoledì 29 aprile 2009
Fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare
Cofferati e la condotta antisindacale
Da notizie di stampa ( Corriere della Sera del 28 aprile 2009) apprendiamo che Sergio Cofferati sarebbe stato condannato da un giudice del lavoro per “ comportamento antisindacale” nei confronti dei dipendenti del teatro Comunale che dirige. La condanna è avvenuta in base all’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori “ per aver tenuto un comportamento che appare idoneo ad arrecare offesa alla libertà di sciopero, a prescindere dall’elemento intenzionale”.
Non possiamo nemmeno immaginare che Cofferati non conosca le norme che regolano le libertà sindacali nel settore pubblico avendole egli stesso contribuito a crearle e a diffonderle fra i lavoratori.
E’ che fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e questo mare consiste nelle difficoltà che ogni giorno i dirigenti pubblici devono superare per far funzionare le cose senza tenerle ferme nella palude dell’ozio, per fare in modo che l’Italia sia produttiva nei servizi e nell’amministrazione.Che cresca culturalmente ed economicamente,o, quanto meno, non arretri.
Nel linguaggio del management li chiamano vincoli. Vincoli spesso ardui da superare con le zattere di cui sono dotati i dirigenti pubblici soggetti all’arrembaggio sciagurato dei piccoli e variegati potentati locali.
Benvenuto fra di noi Cofferati. Sei davvero uno dei nostri ora che sei incappato negli infortuni del mestiere.
martedì 28 aprile 2009
Progettare l’Italia
di Cetta Petrollo*
Non si può chiedere a gente che ha più di sessantanni, o poco meno, di progettare il futuro dal momento che di futuro davanti a sé ne ha poco e quel poco che c’è deve essere governato con la poca, o appena sufficiente energia che resta, detratta quella necessaria a riparare i propri acciacchi fisici, emotivi e esistenziali. I conti con se stessi insomma, conti da niente come le sciatiche, i dentisti, la pressione alta e quant’altro, conti che richiedono appunto attenzione e buon governo del sé.
Dunque il buon Governo pubblico e la progettazione di tale buon Governo dovrebbe essere faccenda da giovani, diciamo di gente anagraficamente compresa fra i venticinque ed i cinquantacinque anni, meglio fra i venticinque e i quarantacinque anni, gente alla quale dovrebbe essere lasciato spazio e strumenti per l’ideazione e l’azione.
Gente da non deprimere ma da sostenere innanzitutto con l’ascolto e poi con la generosità concreta.
Invece no. I giovani e gli adulti non lavorano. Campano. Meglio ancora tirano a campa’. Non hanno tempo per agire e pensare, persi come sono a mettere insieme, e badate bene, nel migliore dei casi, il pranzo con la cena. Per lo più infatti il mettere da soli insieme il pranzo con la cena rimane sogno inattuabile e si continua a cenare e a pranzare con i soldini di mamma e papà ancorché sposati e con prole.
Triste generazione. Triste vecchiaia la nostra che non sarà sostenuta dall’autonomia e dalla forza dei giovani. Triste il popolo che non comprende che, forse, il più alto atto di carità è quello di aiutare a raggiungere l’autonomia personale ( ridare la vista ai ciechi, il movimento ai paralitici…)
Il ceto medio italiano non è stato capace di affermare la propria centralità sociale e di scansare il piatto di lenticchie ripetutamente offerto ai padri per garantire il raccolto del grano ai propri figli. Egoismo? Protagonismo? Incapacità di visione collettiva? Chi lo sa. Non tutto dipende da noi, l’economia è economia globale e forse la foresta abbattuta in altra parte del mondo ha innescato anche da noi processi di cui abbiamo perso il controllo.
Tuttavia esistono doveri morali ai quali non possiamo sottrarci.
Il dovere di pretendere che tutti abbiano un lavoro ad esempio.
Il dovere di pretendere giustizia retributiva per tutti.
Ci tocca continuare ad insistere in ogni modo e con ogni strumento affinché le responsabilità siano bene retribuite.
Ci tocca pretendere concorsi pubblici per i giovani, giovani impiegati, giovani funzionari, giovani insegnati, giovani presidi, giovani medici e giovani dirigenti.
E se le risorse non si sa dove trovarle basterebbe riformulare i contratti.
Insomma alla visione particolare dovrebbe in questo momento subentrare una visione globale eticamente impostata che possa permettere nel giro di poco tempo ai giovani di ritrovare la forza per progettare il futuro del nostro Paese.
di Cetta Petrollo*
Non si può chiedere a gente che ha più di sessantanni, o poco meno, di progettare il futuro dal momento che di futuro davanti a sé ne ha poco e quel poco che c’è deve essere governato con la poca, o appena sufficiente energia che resta, detratta quella necessaria a riparare i propri acciacchi fisici, emotivi e esistenziali. I conti con se stessi insomma, conti da niente come le sciatiche, i dentisti, la pressione alta e quant’altro, conti che richiedono appunto attenzione e buon governo del sé.
Dunque il buon Governo pubblico e la progettazione di tale buon Governo dovrebbe essere faccenda da giovani, diciamo di gente anagraficamente compresa fra i venticinque ed i cinquantacinque anni, meglio fra i venticinque e i quarantacinque anni, gente alla quale dovrebbe essere lasciato spazio e strumenti per l’ideazione e l’azione.
Gente da non deprimere ma da sostenere innanzitutto con l’ascolto e poi con la generosità concreta.
Invece no. I giovani e gli adulti non lavorano. Campano. Meglio ancora tirano a campa’. Non hanno tempo per agire e pensare, persi come sono a mettere insieme, e badate bene, nel migliore dei casi, il pranzo con la cena. Per lo più infatti il mettere da soli insieme il pranzo con la cena rimane sogno inattuabile e si continua a cenare e a pranzare con i soldini di mamma e papà ancorché sposati e con prole.
Triste generazione. Triste vecchiaia la nostra che non sarà sostenuta dall’autonomia e dalla forza dei giovani. Triste il popolo che non comprende che, forse, il più alto atto di carità è quello di aiutare a raggiungere l’autonomia personale ( ridare la vista ai ciechi, il movimento ai paralitici…)
Il ceto medio italiano non è stato capace di affermare la propria centralità sociale e di scansare il piatto di lenticchie ripetutamente offerto ai padri per garantire il raccolto del grano ai propri figli. Egoismo? Protagonismo? Incapacità di visione collettiva? Chi lo sa. Non tutto dipende da noi, l’economia è economia globale e forse la foresta abbattuta in altra parte del mondo ha innescato anche da noi processi di cui abbiamo perso il controllo.
Tuttavia esistono doveri morali ai quali non possiamo sottrarci.
Il dovere di pretendere che tutti abbiano un lavoro ad esempio.
Il dovere di pretendere giustizia retributiva per tutti.
Ci tocca continuare ad insistere in ogni modo e con ogni strumento affinché le responsabilità siano bene retribuite.
Ci tocca pretendere concorsi pubblici per i giovani, giovani impiegati, giovani funzionari, giovani insegnati, giovani presidi, giovani medici e giovani dirigenti.
E se le risorse non si sa dove trovarle basterebbe riformulare i contratti.
Insomma alla visione particolare dovrebbe in questo momento subentrare una visione globale eticamente impostata che possa permettere nel giro di poco tempo ai giovani di ritrovare la forza per progettare il futuro del nostro Paese.
venerdì 24 aprile 2009
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