lunedì 30 agosto 2010

Da favole 2010

Mirta

A richiesta ora racconto la favola di Mirta ( conta, conta, dicevano alle vecchine, una volta di quelle là, le bambine, le ragazze grandi da marito, le spose, le donne incinte, le puerpere, le lavoranti di casa, le lavandaie le sguattere, conta , conta, canta canta, suona suona, dicono oggi in piazza quando c’è il moderno saltimbanco, il contastorie, cioè il tipo che viene pagato alle feste dell’Unità o alle sagre di paese o dai comitati turistici per cantare e far ballare la piazza, canta, canta) e dunque mi accomodo la penna, anzi il computer, e ti racconto anch’io qualcosa, che una volta ci si accomodava la gonna, si preparavano le mani o si accomodava la penna e l’inchiostro e la carta assorbente e ci si apparecchiava a contare.
Ecco ci sono già dentro, sto parlando di Mirta.
Perché Mirta sa di ramoscello, di verde d’autunno ma anche di inchiostro e di carta assorbente e di pennino e di cucina e di orto di ortaggi di caminetti e di pavimenti in cotto, di fazzolettoni sulla testa di ariose finestre che si spalancano su orti in discesa uliveti senza confine vitigni bassi cantine oscure sentieri punteggiati da muretti di coccio segnati da qualche botte e lontano, sai, anche lo spaventapasseri.
C’é aria intorno. Molta aria. Aria aperta, dove si respirano i fuochi delle conserve d’agosto, degli agnelli di Pasqua, dei carciofi nuovi, la bollitura delle marmellate.
Ma Mirta è anche Mirtella e Mirtella percorre i boschi del passato, scava le buche della memoria, le sopravvivenze, qui un coccio, lì una pietra, più giù una colonnina, scava in linea retta ma talvolta fa dei giri eleganti intorno alle cose perché non scordarti che è una ninfa e si chiama Mirtella.
Sicché il bosco la chiama ed è un bosco gravido di calore silenzioso e pulito con lisci tronchi e profonde radici che devi stare attenta, nelle radici ci caschi, e c’è nel bosco il buco del silenzio che gravita fermo come il gabbiano quando vola con le ali immobili invece è il bosco che sta gravido, immobile è un bosco sacro lo percorre Mirtella.
Dici che è una biblioteca?
Che il bosco sono le colonne di legno dove immobili stanno i libri dai dorsi dorati in bell’ordine più su, più su ,più su, religione storia filosofia medicina su, fino ai finestroni sempre chiusi, giù, ancora più lontano, nel magazzino con le cancellate, chiavistelli ovunque, attenta a non inciampare nel sapere.
Ma no, che Mirty non inciampa perché lei è anche Mirty e si dà da fare intorno a un libro come intorno ad un ortaggio e lo sorveglia, lo coltiva, perché, sai, i libri sono delicati, delicati da leggere, delicati da mangiare.
Provati ad aprire un libro di quelli del bosco e avrai paura.
Dall’emozione, specialmente se hai tredici anni, ti si incollerà l’inchiostro dentro, in un posto che alcuni chiamano anima, ma questo lo scopri dopo, intanto che ti muovi nel bosco, e anche sulle dita, allora il libro si chiama manoscritto ,ed è un fungo nascosto.
Un giorno ti prendo per mano e ti ci porto, sì che ti ci porto, in una biblioteca.
Ma devi stare in silenzio, come in chiesa, così vedrai il bosco.
Mirtella, invece, ti ci porto prima.

domenica 29 agosto 2010

Da Favole 2010

Pentoloni

Una volta c’erano i pentoloni. Pentole talmente grandi che nemmeno te lo immagini quanto erano grandi che quando le trovavi in un libro di favole non sembrava una favola ma una pentola vera perché ogni giorno a tavola l’acqua bolliva in una pentola così e passava un ‘ora prima che l’acqua bollisse e più la guardavi più non bolliva mai dentro l’alluminio tirato a lucido la superficie appena increspata la mamma che diceva se la guardi non bolle mai.
E in questa pentola si buttavano dentro certi spaghettoni lunghi e duri che bisognava tagliare a metà che si compravano in certi negozi che li tenevano in certi cassetti di legno aperti inclinati e c’era in quei negozi odore di spaghetti di citrato e di cassetti.
E dopo un po’ con la punta di una forchetta si tirava su uno spaghetto lungo e lucente e si assaggiava ma era sempre duro e bisognava aspettare ancora sicché si assaggiava di nuovo e di nuovo finché non assaggiavi più e lo spaghetto scuoceva se per esempio ci si metteva a parlare e si scherzava e bisognava essere in due ad alzare il pentolone a scolare la pasta a reggere lo scolapasta a farla saltare e l’insalatiera era bianca pesante enorme con lo strofinaccio intorno a portarla a tavola.
Ma non ricordo, non ricordo bene del sugo. Perché più spesso era burro certi tocchi di burro decisamente giallo prima che ci dicessero che era meglio no niente burro e sul burro il formaggio grattato un formaggio invecchiato e il pepe nero che faceva allegria preso dalla boccetta e non come si vede ora nelle pubblicità macinato in certi affari finto antichi.
Perché una volta il macinino era solo per il caffè e ci volevano ore prima di macinarlo con pazienza e si guardava attentamente la mamma che era serena e concentrata mentre lo faceva come quando stirava o quando avvolgeva gli involtini o quando passava il riso le lenticchie sul ripiano del tavolo.
E il macinino? Il macinino è lì, in alto, aspetta che te lo prendo.

Da Favole 2010

Maria Concetta

Il mio nome non lo porterà nessuno in casa perché è come una favola stantia e più nessuno vuole queste favole perché tutti vogliono essere nati oggi e non ieri o l’altro ieri o nell’altro secolo e poi questo è un nome che viene fuori da due, tre secoli fa.
E questo nome inoltre sa proprio di Millenovecentocinquanta che Maria lo mettevano proprio a tutte le bambine e Concetta veniva dritto dritto da una nonna imponente che si era fatta dieci figli e cucinava per lo più pasta e fagioli.
Però questo nome che viene dritto da una favola di paese con poca acqua e grandi mastelli d’alluminio e vasche di marmittone grigio e nero, questo nome che viene dai bucati e dalle regge, questo nome può camuffarsi e ti spiego come.
Intanto potrebbe essere solo Concetta e questo lo direbbe un uomo che ti stima e ti ama per cui apre parlando la o di Concetta e tu hai la fermezza di una statua nella sua voce, la sicurezza di una venere ma di quelle che tengono strette le lancette del mondo.

Poi potrebbe ridursi a Concettina e questo te lo può dire un vecchio che si ricorderà delle sue Concettine , quelle conosciute quando era giovane e allora di Concettine ce n’erano tante, tantissime.
Infine continuando potrebbe stringersi in Tina e questo te lo dicono le amiche che hanno fretta o le colleghe o quelle che incrocerai per sbaglio a qualche corso , in qualche percorso inutile dove puoi essere spinta dal vento perché ci sono delle ventate che spingono in certi posti le persone e i loro nomi.

Ma se la mamma ti chiama Cetta con ghiribizzo nordico dettato dall’amica bolognese tale poi rimani : due sillabe puntate e puntute ma con la a finale che non si schioda. No, non si schioda.

E alcuni poi lo trasformano in Cetty , fanno finta di non capire, vogliono accattivarsi il tuo nome antico, il poeta ci ride su e diventa Concezion sicuramente sposata a don Ramon.
Che se poi arrivi in America puoi prendere in prestito Connie dal Padrino e sentirti internazionale.
Avresti insomma da scegliere se nel duemilaetrenta - duemilaquaranta ti dovesse nascere un bambino e il nome per avventura fosse ritornato contemporaneo e anzi fosse proprio una figata chiamarsi Maria Concetta- Concetta- Concettina- Tina – Cetta – Connie e Concezion e tu fossi diventata una ragazza molto, molto alla moda.

lunedì 1 febbraio 2010

Destra Sinistra

E’ molto difficile orientarsi nel panorama politico italiano: personalità appartenenti storicamente e culturalmente agli ambienti della destra dicono cose di “sinistra”, personalità storicamente e culturalmente appartenenti agli ambienti della sinistra operano e amministrano con scelte che potrebbero essere condivise anche da amministratori di “destra”.
Dunque bisognerebbe far chiarezza e cercare di individuare qualche, possibile, linea di confine, qualche variante imprescindibile superata la quale si è orientati o di qua o di là, chiarezza necessaria se non al voto- quante variabili incidono poi sul voto e lo sappiamo bene quando si candida l’amico della porta accanto o la persona cui dobbiamo qualcosa- sicuramente alla propria onestà intellettuale.
Determinanti a stabilire un confine sono, a mio giudizio, le decisioni sulla spesa pubblica, sulla gestione delle risorse.
Mi sembra valido e inconfutabile il concetto che quando con le risorse di tutti si agisce e si operano migliorie per pochi si è evidentemente in una politica di destra e quando con le risorse di pochi – quelli che più possono, i ricchi, i benestanti si sarebbe detto una volta- si agisce e si operano migliorie per tutti siamo, forse, in una politica di sinistra.
Se ad un prato ben tenuto di una villa privata concorriamo tutti, con le leggi, i permessi, le tasse e gli sgravi fiscali, ecco questa è una scelta di destra, se un parco pubblico riapre con le risorse di una giusta tassazione, ecco questa è una scelta di sinistra.
Non è detto poi che siano proprio gli uomini dei partiti di sinistra ad operare scelte di sinistra né che siano proprio gli uomini dei partiti di destra ad operare scelte di destra ma la linea di confine ci può aiutare ad individuare, al di là dei nomi e delle appartenenze, il vero colore politico delle azioni di cui tutti, quotidianamente, subiamo le conseguenze.
La politica di sinistra poi è apparentemente sciupona.
Essa investe sulle risorse intangibili. Investe, cioè su quelle che possono sembrare pure perdite nel presente, la coltivazione delle menti, la prosecuzione della memoria e della ricerca, infine la non rozza conservazione della propria identità, identità non solo artistica, culturale, storica e di ingegno ma anche paesaggistica – come ebbe a dire recentemente Antonio Paolucci – in una disseminazione territoriale su cui si è fondata la costruzione del Paese Italia e che da senso e significato alla nostra collocazione nel mondo.
La politica di sinistra dunque sciupa per il futuro e dunque non sciupa. Essa avverte che in un’economia globale nella quale noi siamo comparse di poco conto non potendo contare né su risorse finanziarie, né su materie prime, né su una forza lavoro competitiva, possiamo contare sul valore aggiunto della nostra preziosa tradizione, sulla cultura sedimentata della nostra storia e ci possiamo contare non solo per rilanciare circuiti turistici mappati da ristoranti, vinerie e alberghi ma per esportare il nostro patrimonio di idee nel mondo – e non solo come co.co.co. a progetto.
La politica di sinistra sciupa per tentare di garantire una soglia accettabile di salute e di benessere a tutti perché un popolo più sano mette da parte per il futuro e nel futuro continua a sperare.
Ripeto non è detto che questa politica sia agita da uomini dei partiti di sinistra, né che riguardi l’intero territorio nazionale: oramai le regioni perseguono scelte del tutto autonome nelle più importanti materie costituzionali e così può capitare che una regione garantisca farmaci e dieta gratuita per i glicemici e i neuropatici e un’altra no, che in una siano attivi corsi professionali e in un’altra no, che in una anche il più piccolo centro storico sia mantenuto e in un’altra si assista a vergognosi e drammatici abbandoni come le cronache dei giornali mostrano tutti i giorni.
E non si dica che in momenti di crisi le scelte di spesa sono inevitabilmente univoche.
Cosa spendere e per chi spendere, anche in ristrettezze economiche, resta una scelta politica: si tratta di decidere, infatti, per chi e su cosa investire.